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giovedì 22 dicembre 2016

“Caffè & Chiacchiere con Emma”

Ecco che oggi, proprio con l'avvicinarsi del Natale, torna a sorpresa una rubrica molto gradita da voi lettori/lettrici, con un bellissimo racconto natalizio!!!

Vi lascio alla lettura del post e vi auguro un buon proseguimento!!!

Care amiche,

dopo una lunga assenza riapro questa rubrica dedicata a voi con un racconto ispirato al Natale, con il quale desidero augurarvi tanta gioia e serenità!!!
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Un bacio sotto il vischio
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Luca era il mio idolo, ai tempi del liceo, quando ero una ragazzina piuttosto insignificante con l’apparecchio ai denti, gli occhiali e piatta come una tavola. La tipica studentessa secchiona e bruttina che nessuno si fila.
   Lui, invece, era già un gran fico e le ragazze lo adoravano.
   La sua indifferenza mi faceva soffrire e avrei dato qualunque cosa pur di ricevere un suo sguardo, un sorriso, una parola gentile. Mi batteva forte il cuore ogni volta che lo incontravo nel corridoio, sempre circondato dalla sua piccola corte di ammiratrici, ed ero talmente emozionata da non riuscire a spiccicare parola. Insomma, non ero soltanto bruttina, ero anche timida come un coniglietto. Si sa, l’adolescenza è un periodo di affanni e tormenti, ma per me era uno stillicidio quotidiano di angoscia.
   Col tempo il mio aspetto era molto migliorato, ma dopo il diploma Luca era scomparso dal mio orizzonte e non era altro che un pallido ricordo. I problemi sentimentali dei quindici anni erano ben poca cosa, al confronto dei problemi esistenziali di una trentacinquenne divorziata e delusa decisa a rimanere single, con una sorella felicemente sposata che non perdeva l’occasione di ricordarmi quanto fosse importante la famiglia e che dovevo darmi una mossa se non volevo fare la fine di zia Renata. A dire la verità, non ritenevo che la zia fosse da compiangere. Alla soglia dei settanta anni era piena di vitalità, viaggiava e aveva un sacco di amici con cui si divertiva, oltre ad avere un aspetto sempre molto curato e sembrare più giovane della sua età. Ma Lidia era convinta che in realtà fosse infelice e mi dava il tormento perché non seguissi il suo esempio. Era del parere che il mio matrimonio fallito non dovesse condizionare le mie scelte, che il mondo fosse pieno di uomini con cui avrei potuto avere una relazione seria e duratura, che chiudermi dentro un bozzolo era autolesionista.
   Armata delle migliori intenzioni, mia sorella voleva a tutti i costi trovarmi marito. Con o senza la mia approvazione.

Si avvicinava il Natale e Lidia decise di organizzare il tradizionale cenone della Vigilia nella sua casa di campagna.
   Ovviamente mi chiese di aiutarla. Lidia non è il tipo di sorella che si preoccupa di chiedere se hai altri impegni. Nel momento in cui decide di fare qualcosa e ritiene di avere bisogno di te, dà per scontato che tu sia a disposizione.
   «Mi dispiace, ma non posso venire.»
   «Come sarebbe che non puoi venire?»
   «Significa che vado a cena coi miei amici. Sono sicura che per una volta potrai fare a meno di me.»
   «Dai, sorellina, non essere egoista. Gli amici sono forse più importanti della tua famiglia?»
   «Certo che no, ma ho promesso sarei andata e non mi va di rinunciare.»
   «Ma è il cenone della Vigilia e l’abbiamo sempre celebrato insieme.»
   «Appunto.»
   «Te lo chiedo per favore, Bianca, vieni e non te ne pentirai.»
   A quel punto capii di non avere alternative. «D’accordo, vengo.»
   «Oh, grazie! Mi raccomando, sta’ attenta e guida con prudenza. A presto.»
   Due minuti dopo telefonai a Laura per avvisarla della mia defezione con la scusa che avevo l’influenza, poi con un sospiro esasperato infilai un po’ di cose in una borsa, salii in macchina e partii.
   Conoscevo la strada che portava all’eremo di mia sorella, ma nevicava ed ero irritata perché le avevo permesso di nuovo di interferire nelle mie faccende personali, così rimuginando fra me dimenticai di svoltare al bivio e passai oltre. Mi accorsi di aver sbagliato solo dopo parecchi chilometri, quando arrivai in un piccolo paese. Per fortuna c’era un bar sulla piazzetta e, lasciata la macchina, entrai per chiedere indicazioni. I pensionati che giocavano a carte furono molto disponibili a fornirmele. Anzi, me ne diedero tante e così diverse fra loro che mi confusero le idee. Una però mi fu chiara: dovevo fare il giro del paese e tornare indietro fino al bivio.
   Ripresi il viaggio, più avventuroso del previsto, e man mano che mi avvicinavo alla meta in mezzo al fitto vorticare della neve, il mio stato d’irritazione cresceva. Era ormai buio quando abbordai la salita che conduceva alla casa, un vecchio casale ristrutturato, e nonostante le gomme antineve l’auto incontrò qualche difficoltà ad arrancare fino alla sommità del cocuzzolo, dove una profusione di luminarie natalizie mi diedero l’impressione di trovarmi in un Luna Park.
   Posteggiai sullo spiazzo a fianco di altre auto, scesi e mi diressi al portoncino d’ingresso decorato con ghirlande e fiocchi rossi. Venne ad aprirmi Lidia.
   «Ah, finalmente sei arrivata! Mi hai fatto stare in pena. Perché non hai avvisato del ritardo?»
   Non mi diede il tempo di spiegare e mi trascinò dentro. Mio cognato Alberto mi riservò un’accoglienza più calorosa.
   «Non badarle, è la solita brontolona. Siamo contenti che tu sia venuta.»
   I bambini, ne contai alcuni in più del numero di nipoti a cui ero abituata, mi circondarono strillando. Il mio sguardo disperato impietosì Alberto.
   «Fate i bravi e andate di là a giocare», ordinò guadagnandosi la mia gratitudine. I marmocchi obbedirono e mi rilassai un poco. «I nostri amici sono arrivati ieri», si sentì in dovere di spiegarmi. «Lidia ha tanto insistito perché venissero a passare il Natale qui coi figli.»
   «Lo immagino», sospirai rassegnata.
   «Ma cosa fai lì impalata?» intervenne Lidia. «Porta di sopra la borsa e torna subito. Devi salutare gli amici e aiutarmi a cucinare. Ah, sai chi ho invitato al cenone?» Non lo chiesi e aspettai con un leggero brivido che mi svelasse l’arcano. Lei fece una pausa ad effetto e sorrise sorniona. «Luca Brandi.»
   Sgranai gli occhi, fingendo di non aver capito. «Luca chi?»
   «Luca Brandi, il tuo vecchio compagno di liceo. Non dirmi che te lo sei dimenticato.»
   «Lo ricordo benissimo», replicai. «Ma cosa viene a fare? Credevo fosse una festa in famiglia.»
   «Ma sì, tesoro, è una festa in famiglia un po’ allargata. Sarà carino.»
   La sua idea di “carino” non coincideva con la mia, ma ormai non c’era rimedio. Rivedere Luca era l’ultima cosa che desideravo e mi venne il sospetto che Lidia l’avesse invitato apposta. Soltanto a lei poteva venire in mente un piano così diabolico per costringermi a riaprire un capitolo della mia vita chiuso da anni. Qualunque cosa stesse tramando, decisi che non l’avrei assecondata.
   Più tardi, mentre eravamo in cucina indaffarate e Alberto intratteneva la torma di bambini scatenati e i rispettivi genitori, Lidia mi raccontò dell’incontro con Luca.
   «L’altro giorno facevo la spesa al supermercato e a un tratto, roba da non credere, ecco che un carrello si scontra col mio e…chi è che lo spinge?»
   «Fammi indovinare: Luca?»
   «Proprio lui. Ovviamente ci siamo fermati a scambiare due chiacchiere. Figurati, dopo tutti questi anni ce n’erano di cose da dire. Fra l’altro, mi ha chiesto tue notizie e sembrava molto curioso. Gli ho detto che sei divorziata e che al momento non hai legami, e lui mi ha confidato di non essersi mai sposato. Mi ha fatto pena, poverino.»
   «Gli dovevi proprio raccontare i fatti miei?»
   «Bé, che c’è di male? Avessi visto come gli brillavano gli occhi parlando di te!»
   «Ma se neanche mi vedeva, quando andavamo al liceo.»
   «Non è vero. Mi ha confessato d’aver sempre provato…simpatia nei tuoi confronti.»
   «Certo, come no», borbottai tagliuzzando rabbiosamente le patate. Avrei strozzato Lidia volentieri per quanto era bugiarda.
   «Perché quel muso lungo? Pensavo che ti avrebbe fatto piacere rivedere il tuo primo amore.»
   «La mia prima e cocente delusione, vorrai dire!»
   «Eri soltanto una ragazzina, allora, e molte cose sono cambiate. Dovresti essermi grata, invece di essere così acida.»
   «Mi dispiace, ma non ci riesco. Mi hai rovinato il Natale con questo assurdo incontro combinato a mia insaputa.»
   «State litigando, ragazze?» chiese Alberto venuto a curiosare.
   «No, amore», rispose Lidia svenevole. «Abbiamo solo qualche divergenza, tutto qui.»
   «Meno male, ero preoccupato. A che punto è la cena? Di là sono tutti affamati.»
   «Siamo un po’ in ritardo, ma puoi cominciare a servire gli stuzzichini.» Gli indicò il grande vassoio posato sul tavolo.
   «Quante cose appetitose», commentò Alberto.
   «Per te e i bambini ci sono carote e sedani.»
   Lui si avvicinò per darle un bacio sulla guancia. «So che ti sta a cuore la mia salute, ma credo che farò uno strappo alla regola.»
   «Va bene, ma non esagerare», raccomandò Lidia.
   Alberto mi fece l’occhiolino e se ne andò con gli stuzzichini, accolto da una standing ovation da fare invidia a una rockstar.
   «Speriamo che avanzino qualcosa per noi», osservai con un sospiro.
   «Tranquilla, ne ho messo da parte un altro vassoio.»
   Nel linguaggio segreto di mia sorella equivaleva a un’offerta di pace.
   «Credo che ti perdonerò per aver invitato Luca.»

Il giorno seguente, dopo una serie interminabile di partite a Monopoli, arrivò il momento cruciale: la sera della Vigilia.
   Avevamo cucinato per gran parte della giornata ed ero quasi esausta, ma l’effetto della tavola apparecchiata con le candele rosse, dell’albero decorato e luccicante, del caminetto acceso, era assai piacevole.
   Lidia aveva disseminato rametti di vischio dappertutto e gongolava soddisfatta. I bambini strepitavano, impazienti di aprire i regali, e noi aspettavamo l’arrivo dell’ultimo ospite sorseggiando vino e assaporando l’atmosfera natalizia con un senso di intima gioia che, nel mio caso, si mescolava a una sfumatura di ansia.
   Indossavo un abito rosso e piuttosto aderente. Coi capelli raccolti e un filo di perle mi sentivo bella. Mi chiesi di sfuggita se Luca era cambiato. Probabile che lo fosse, ma fino a che punto era diverso da come lo ricordavo? Magari era stempiato, pensai divertita.
   Poi arrivò, accompagnato da una raggiante Lidia, e il mio cuore cominciò a dare segnali allarmanti. Avevo le palpitazioni come a quindici anni. Lui era ancora più affascinante e no, non era stempiato. Mi mancò il respiro quando incontrai i suoi occhi verdi, esattamente come al liceo, e la mano che strinse la sua era un ghiacciolo. La trattenne qualche istante e sorrise. Sorrisi di rimando e il suo sguardo si posò sui miei denti perfetti e bianchissimi, prima di indugiare sulla mia figura curvilinea e molto sexy.
   «Sono felice di rivederti, Bianca. Tua sorella mi ha parlato di te, ma non mi ha detto quale trasformazione hai subito. Sei davvero molto bella.»
   «Grazie. Anche tu non sei tanto male», risposi.
  Lidia lo presentò agli altri, gli porse un bicchiere di vino e lo riportò da me.
   «Avrete tante cose da dirvi, dopo tutti questi anni», disse lasciandoci.
   Le avevamo? Certamente sì, ma non ce le saremmo raccontate quella sera. Stavamo comunicando senza parlare, assaporando le sensazioni che il ritrovarci a distanza di tanto tempo ci procurava. Gi sguardi, i sorrisi che ci scambiavamo, le mani che si sfioravano mentre prendevamo dai vassoi le tartine, dicevano ciò che le nostre labbra tacevano. Eravamo come isolati in un mondo tutto nostro e quasi stentavo a credere che accadesse davvero.
   Lidia era assorbita dai compiti di padrona di casa, ma captavo le sue occhiate di sfuggita, la sua aria di approvazione. Stranamente non mi diede fastidio, anzi provai un inatteso sentimento di gratitudine nei suoi confronti.
   «Sono contenta che tu sia qui», sospirai.
   «Lo sono anch’io. Ti confesso che in un primo momento ero tentato di non accettare l’invito, ma tua sorella è molto persuasiva quando si prefigge di ottenere qualcosa.»
   Scoppiai a ridere. «Non lo dire a me!»
   «Mi piace il suono della tua risata.»
   Incontrai di nuovo i suoi occhi e mi sentii persa.
   Lidia si affacciò sotto l’arcata che introduceva alla sala da pranzo e attirò la nostra attenzione.
   «A tavola, ragazzi!»
   Fummo preceduti dai bambini e dagli altri, a cui ci accodammo. Appeso all’arcata c’era un grande ramo di vischio e passandovi sotto Luca gli gettò un’occhiata, poi fece qualcosa di inaspettato: mi diede un bacio.
   «Per buon augurio», sussurrò. «Buon Natale, Bianca.»
   Le mie guance dovevano avere lo stesso colore del vestito che indossavo e tutti ci guardavano. Non li volli deludere e sorrisi.
   «Buon Natale anche a te, Luca.»
   Lo presi a braccetto e insieme entrammo in sala da pranzo.
   Adesso ero certa che sarebbe stato un magico Natale. Il primo di una lunga serie.

#winter, #winter,  #winter.:
    
   Un abbraccio dalla vostra
Emma.




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